Daniela potrebbe essere mia madre; se ci penso bene, ha solo una trentina d’anni più di me ed è paradossale che abbia vissuto esperienze così diverse dalle mie:

il non aver potuto studiare perché la famiglia era contraria, perché nessuno dei fratelli più grandi aveva proseguito con gli studi dopo la terza media;

Il doversi fidanzare a 17 anni per mantenere l’”onore” della famiglia e seguire le regole dell’epoca, quando lei si sentiva ancora una bambina e non sapeva cosa farsene di un’uomo.

“Non stavo nell’obbedienza muta che lei si aspettava”, dice Daniela parlando della madre e proprio la madre le chiedeva spesso, vedendola ribelle e insofferente alle regole e ai paletti che secondo lei avrebbe dovuto accettare:  “Ma cosa vuoi tu? Cosa vuoi??”. “Io voglio una vita autonoma. Voglio scegliere come vivere la mia vita!” era la risposta di Daniela che può risuonare dentro ognuna di noi ancora oggi.

Le donne che ci hanno preceduto, le loro esperienze, le loro sofferenze, le loro vittorie, vivono in noi e come donne abbiamo bisogno di conoscere e di capire, perché la storia di ognuna è anche la nostra storia. Spesso abbiamo in noi una complessità di aspetti che ci caratterizzano, un groviglio di vissuti ed emozioni: a volte non ci capiamo neppure da sole! Se vogliamo iniziare a comprendere noi stesse, a godere della nostra bellezza, a valorizzarci, dobbiamo riavvicinarci, rinarrarci fra noi, comprenderci e sostenerci. È finito il tempo di “Eva contro Eva”, è finito il tempo della competizione, oggi possiamo e dobbiamo cooperare, ma questo potrà avvenire solo se siamo disposte ad ascoltare e ad ascoltarci.

“Ti dico la verità, mi stavo spegnendo. Quando ne ho preso coscienza ho detto: “No! Daniela deve tornare ad essere Daniela!”. Sai Alessia, puoi non accorgerti che ti stai spegnendo, ti succede piano piano, giorno dopo giorno, e non te ne rendi conto”. Questo è ciò di cui ha preso consapevolezza a un certo punto Daniela (v. Storia di Daniela – parte 4)

Questa è una frase che ogni donna dovrebbe leggere per rileggersi e chiedere a se stessa se sta succedendo anche a lei.

Ma come succede che ci spegniamo?

Come dice Daniela, avviene lentamente;  iniziamo a lamentarci e la lamentela verbale e/o somatica inizia a far parte della nostra vita e sembra normale, oppure si inizia a chiudersi in se stesse, a stare zitte, a non esprimersi più con parole o creativamente; non esprimere più quello che siamo equivale a rinunciare a noi stesse.

Questa storia l’ho scritta per tutte le donne a cui almeno una volta nella vita è stato detto: “Che vuoi che sia, è una piccolezza” riferito a ciò che creava loro dolore. Attraverso queste frasi siamo state invitate tante volte a soffocare e sottovalutare i nostri bisogni, ciò che sentivamo vero dentro noi stesse. Questa storia l’ho scritta e diffusa per tutte le donne che queste frasi se le sono sentite dire da altre donne come loro e per tutte le volte che ce lo siamo dette da sole, richiudendo in noi un vissuto e riducendolo, come se non fosse degno di importanza, come se non fosse niente.

Il fatto è questo: i nostri bisogni sono importanti e non ascoltarli ci fa spegnere, giorno dopo giorno, lentamente.

Come emerge dalla storia, Daniela cercava di esprimere il suo entusiasmo; per sua indole coglieva il bello nelle persone, nelle situazioni, nelle proposte, e intorno molti che tentavano di spegnerla e di farle mantenere un profilo basso. Quante donne ho ascoltato e ascolto ogni giorno nel mio studio che mi dicono: “Se sono felice, sembra che agli altri non vado bene!”.  E la cosa più triste è che questi altri spesso sono altre donne come noi.

Daniela ha fatto questa esperienza con la madre e con la suocera e si è domandata e si domanda tutt’ora perché proprio loro, perché proprio coloro che avrebbero dovuto sostenerla nel suo sbocciare, gioire insieme a lei, invece la indirizzavano su strade che lei non voleva percorrere, le mettevano i bastoni fra le ruote, la invitavano a stare più zitta e a mettersi in un angolo?

Ognuna di noi ha una responsabilità verso se stessa e questa responsabilità è di credere a se stessa, di non ridursi, anche se agli altri non va bene. Ognuna ha la responsabilità di sostenere e onorare le altre donne, di bene-dirle, non tradirle, perché sennò tradisce anche se stessa.

E Daniela ci lascia un insegnamento: ognuna di noi può andare oltre, buttarsi alle spalle quello che è stato, quello che non ci è stato riconosciuto, quello che abbiamo subito e sciogliere, ovvero perdonare, per noi stesse, per la nostra vita, per tutti coloro che amiamo. Aprirci alla gioia, all’allegria, all’amore, è ciò che dà senso alla nostra vita, è il contributo femminile all’esistenza.

Come ha fatto Daniela?

“Io spesso mi metto a fare il clown! Questi per me sono momenti belli e penso che andrebbero creati più spesso, però devo essere io ad innescarli e a spronare lui (il marito), sennò non succede niente. Fuori lui si preoccupa di cosa dice la gente e pretende da me un comportamento il più composto possibile, dentro casa però, dico io, trasgrediamo un po’, tanto chi ci vede; se serve per divertirci, facciamolo! Alla mia età, la considero una vittoria con un valore inestimabile l’essermi riaccesa! Perché sarebbe facile focalizzarsi sugli “acciacchi”, su tutte le ingiustizie subite, sui rimpianti, ed io non lo sopporto di ridurmi a questo.

Mi sono detta con un sospiro di sollievo e con stupore: “Vedi Daniela che ce  l’hai fatta!”. E ho provato una grande soddisfazione.

Poi ti dimentichi che stai male; quando ti trovi in questi stati di grazia, in momenti così belli, ti scordi dei problemi economici, dei problemi legati all’età, ti dimentichi di tutto e dici: “Evviva!”.

Grazie Daniela per il tuo esempio che è un’invito fatto ad ogni donna affinché porti allegria e n po’ di follia e leggerezza nella propria casa e nella propria vita!